Cucine fusion e cucina cosmopolita: origini e migliori posti in cui provarle
Sembra sia trascorso qualche decennio dallo sbarco della cucina cinese in Italia, eppure di tempo ne è passato molto di più. Era il 1949 quando a Roma, in via Borgognona, apriva i battenti lo Shanghai: il primo ristorante cinese nella penisola. Tredici anni dopo è stato il turno de La Pagoda, la prima insegna a Milano, e così via.
Se i primi locali erano stati avviati con l’intento di nutrire la sempre più cospicua rappresentanza di cinesi in Italia, lo stesso non si può dire degli anni successivi e, ancor di meno, oggi.
Il significato della cucina etnica è andato via via arricchendosi col tempo; se nel precedente secolo poteva essere associato dai curiosi avventori unicamente a novità e risparmio, adesso il binomio coincide anche con il termine interesse. Per gli ingredienti utilizzati, per le loro origini, per la storia e provenienza geografica dei piatti e per le tradizionali modalità di consumo di questi ultimi.
Da sempre, in Italia e all’estero, l’etnicizzazione gastronomica delle città è coincisa con un adattamento delle ricette verso le preferenze gustative locali. Come disse Harry Gordon Selfridge nel 1909, non a caso, “il cliente ha sempre ragione”.
Questo fatto ha inconsapevolmente determinato, in seguito a ogni importante migrazione etnica, la nascita di cucine ibride, un mix gastronomico fra il paese ‘ospitante’ e la popolazione immigrata: le cosiddette cucine fusion. Nel tempo sono aumentate sempre più e si sono diffuse fuori dalla propria zona di origine, a volte anche con grande successo, come nei celebri casi della cucina tex-mex e di quella nikkei, punto distintivo delle catene Temakinho e Bomaki.
Ora, dinanzi a questo fenomeno, sta crescendo il numero di ristoranti che propongono nuove e autoriali cucine fusion. Gli esempi più importanti, dopo la cucina fusion nippo-sudamericana di Nobu, sono tutti molto recenti e perlopiù milanocentrici.
Wicky’s Wicuisine è un ristorante di cucina giapponese innovativa in cui lo chef Wicky Priyan utilizza ingredienti mediterranei, IYO è il primo ristorante etnico ad aver ottenuto la stella Michelin in Italia, grazie alla cucina oriental-occidentale di Michele Biassoni, Tokuyoshi si distingue per la proposta nippo-italica dell’ex sous chef di Bottura, Gong per quella occidental-cinese, la new-entry Serica per l’offerta italo-cinese, Ada e Augusto a Gaggiano per lo stile italo-nipponico di Takeshi Iwai, Condividere a Torino per qualche elemento di cucina fusion prevalentemente di stampo italo-iberico, mentre Ciotto, il neonato fusion in Porta Venezia che si muove tra Cina e Italia, è ancora indecifrabile.
Un ristorante, un’altra nuova apertura sempre nella capitale della moda, ha deciso di prendere un’altra strada, non proponendo una cucina fusion ma un insieme (distaccato) di cucine diverse, che possiamo chiamare cosmopolita. È quello della cuoca Ritu Dalmia, allieva di Paracucchi e leader del ristorante indiano Cittamani da ottobre 2018, che a metà giugno ha aperto – con l’amica e chef Viviana Varese – Spica. Nella seconda apertura meneghina, questa volta in Porta Venezia e non in Brera, si viene per assaggiare il miglior cibo di strada al mondo, suddiviso in cinque sezioni: Sud Est Asiatico, Sub Continente Indiano, Europa e America. Quindi, spazio rispettivamente a bao e dimsum; samosa; pasta, pizza fritta e polpo alla galiziana; tortillas e costolette di maiale al BBQ.
L’ideale per chi non voglia provare una ‘semplice’ cucina fusion, ma una vera e propria ‘fusione di esperienze’.
A cura di Alessio D’Aguanno